Beatrice Langosco di Stroppiana († 1612), figlia del gran cancelliere dei Savoia, sposò in prime nozze il conte Giovanni Francesco Scarampi. Rimasta vedova, amò il duca Emanuele Filiberto di Savoia da cui ebbe tre figli. Nel 1583, dopo la di lui morte, sposò il conte Francesco Martinengo Colleoni da cui ebbe discendenza che assunse il nome di Martinengo Colleoni Langosco. Nel 1578 aveva acquisito il feudo di Pianezza, eretto nel 1581 a marchesato, titolo che passò poi ai suoi discendenti. Nel 1597 fece riedificare il castello di Cavernago. Morì nel suo palazzo di Torino.
Francesco Martinengo Colleoni (1548?-1621), nacque a Scanzo, seguì le orme del quadrisnonno Bartolomeo Colleoni e della famiglia intraprendendo la carriera militare, combattendo anche a Malta e nella celebre battaglia di Lepanto, oltre che in Francia nelle truppe di Emanuele Filiberto di Savoia da cui ebbe l’onorificenza del collare dell’Annunziata. Fu governatore del Piemonte ed ambasciatore presso il papa; in seguito militò ancora per i Savoia e la Repubblica di Venezia.
Alessandro Martinengo Colleoni († 1527), figlio del condottiere Gherardo Martinengo e di Ursina figlia di Bartolomeo Colleoni, fu comandante della cavalleria veneta al tempo delle guerre d’Italia. Con il fratello Estore venne adottato dal nonno Bartolomeo, del quale aggiunse al proprio il cognome e lo stemma. Fu mecenate di importanti artisti come Lorenzo Lotto. Lasciò il proprio patrimonio ai figli del fratello, che continuarono la famiglia.
Nacque in una casa del castello di Solza da Paolo detto Poho Colleoni e da Riccadonna dei Vavassori di Medolago; la sua data di nascita è sconosciuta, ma probabilmente l’anno fu il 1392 od il 1393. Per quanto si sa, era il secondo di tre fratelli: Antonio, Bartolomeo e Caterina.
Il padre fu ucciso dai cugini nel castello di Trezzo forse nel 1407 e poco dopo anche il fratello Antonio venne assassinato.
Bartolomeo intraprese presto il mestiere delle armi quale scudiero presso gli Arcelli, Signori di Piacenza. Militò poi con importanti condottieri fra cui Braccio da Montone e Jacopo Caldora.
Combatté per la regina Giovanna di Napoli, con la quale, a quanto vogliono i suoi biografi, ebbe strettissimi legami. Nel 1424 si distinse nella battaglia de L’Aquila, dove conobbe Francesco Sforza ed Erasmo da Narni detto il Gattamelata. In quel periodo la regina Giovanna gli concesse di usare uno stemma con due barre bianche ingollate a due teste di leone, il tutto su campo rosso.
Forse dal 1429 combatté nelle varie guerre fra Milano e Venezia, principalmente per quest’ultima, distinguendosi in molte imprese, fra le quali spiccò quella di portare navi dall’Adige al Garda attraverso i monti nel 1439.
A fine 1442 lasciò l’esercito della Repubblica e passò in quello del duca di Milano da cui fu inviato nelle Marche dove il suo cappellano Fra Bellino Crotti ritrovò alcune reliquie, riferite a Santa Maria Maddalena e a San Lazzaro, che nel 1444 portò a Covo e Romano. Rimase qualche tempo nelle Marche, poi andò a Bologna e tornò in Lombardia.
Nel 1446 il duca di Milano, sospettando un tradimento, lo fece incarcerare nei forni di Monza, ma nell’agosto 1447, alla morte del duca, evase dal carcere. Si formò la Repubblica ambrosiana che affidò il comando dell’esercito allo Sforza che volle il Colleoni fra i suoi condottieri. Combatté la celebre battaglia della Frascata fermando l’esercito francese che cercava di conquistare il ducato, poiché il re vantava diritti di successione.
Nel 1448 però tornò nell’esercito veneto per contrasti con lo Sforza. Poco dopo quest’ultimo e Venezia si allearono contro la Repubblica ambrosiana, che nel frattempo si era accordata con il duca di Savoia. Il Colleoni in due battaglie sulla Sesia e a Borgomanero sconfisse l’esercito sabaudo.
Nel 1450 lo Sforza conquistò il ducato di Milano e poco dopo il Colleoni si licenziò dalla Repubblica che tentò di catturarlo ad Isola della Scala, ma riuscì a sfuggire e passò con lo Sforza per il quale combatté in Piemonte e nel 1453-1454 nella guerra contro Venezia, conquistando anche gran parte della Bergamasca.
I rapporti con lo Sforza si deteriorarono e nel 1455 il Colleoni tornò all’esercito veneto, divenendone capitano generale, cioè comandante di tutto l’esercito, incarico che tenne per un ventennio, sino alla morte.
Nel 1467-1468 in proprio, ma con l’appoggio di Venezia, combatté la guerra di Romagna culminata con la celebre battaglia della Riccardina-Molinella. Nel 1468 venne nominato comandante di una crociata contro i Turchi che non si combatté mai.
Ricevette vari feudi: da Venezia nel 1432 Bottanuco, nel 1441 Martinengo, Romano, Covo e Antegnate, da Filippo Maria Visconti nel 1443 Dorno nel Pavese, da Francesco Sforza nel 1453 Urgnano, Cologno e Castell’Arquato, da Venezia nel 1460 Calcinate, Mornico e Ghisalba, nel 1465 Palosco e Solza. Ebbe anche altri domini, fra i quali il castello e le possessioni di Malpaga (acquistati nel 1456) e di Cavernago (acquisiti nel 1470-1473). Ebbe poi abitazioni a Bergamo e Brescia, oltre che per un breve periodo a Milano.
Forse negli anni ‘30 sposò Tisma (Tisbe) della nobile famiglia Martinengo di Brescia. Ebbe otto figlie: Ursina e Caterina dalla moglie, Isotta, Medea, Cassandra, Polissena, Riccadonna e Doratina da altre donne.
Oltre che uomo di guerra fu uomo di pace, e fondò o aiutò chiese e conventi e migliorò i propri domini con opere.
Fece opere di carità, come la fondazione, avvenuta il 19 febbraio 1466, del Luogo Pio della Pietà in Bergamo per beneficare le nubende povere, fornendo loro una dote che consentisse di sposarsi onorevolmente.
Fu anche abile imprenditore ed amministrò e migliorò con oculatezza i propri domini, facendo, ad esempio, scavare rogge per l’irrigazione.
Nel 1470 restaurò le terme di Trescore Balneario.
Fondò conventi e chiese: nel 1461 la Basella di Urgnano, nel 1471 l’Incoronata di Martinengo e nel 1473-1474 Santa Chiara, pure a Martinengo.
Almeno dal 1466 iniziò a pensare a quanto sarebbe avvenuto dopo di lui. Un giorno non specificato dell’aprile del 1467, nella sua casa in vicinìa di Sant’Agata in Bergamo Alta, oggi sede del Luogo Pio della Pietà, fece un primo testamento rogato dal notaio Antonio Tiraboschi.
Il 6 marzo dell’anno 1470 spirò l’adorata figlia Medea ed egli volle fosse sepolta nel santuario della Basella in una tomba opera del celebre Giovanni Antonio Amadeo, che venne poi traslata nella cappella funeraria che nel 1472 il Colleoni decise di edificare nel cuore di Bergamo Alta, affidandone la realizzazione all’Amadeo.
Il 26 agosto di quello stesso 1472 revocò il testamento del 1467.
Sempre nel 1472 concesse i propri cognome e stemmi ai nipoti Alessandro ed Estore, figli di sua figlia Ursina e del condottiere Gerardo Martinengo, dando inizio alla dinastia dei Martinengo Colleoni che per secoli avrebbero posseduto molti castelli e beni già a lui appartenuti.
In quello stesso anno a Malpaga venne scoperta una congiura orditagli contro dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza e i congiurati furono uccisi, squartati ed esposti sulle strade.
Vista la sua fama, alcuni potenti vollero che fosse annoverato fra i membri della loro famiglia: nel 1467 Renato d’Angiò lo ascrisse alla Casa d’Angiò (in latino Andegavia) e nel 1473 Carlo il Temerario, duca di Borgogna, alla casa di Borgogna; entrambi gli concessero di aggiungere il loro stemma al suo.
Nel 1474 ricevette a Malpaga re Cristiano di Danimarca, in viaggio verso Roma, accogliendolo con grandi feste. Nell’agosto si ammalò, ma si riprese, facendo voto di recarsi a Loreto per ringraziare la Vergine, cosa che fece tra gennaio e febbraio del 1475.
Per quanto la sua tempra fosse assai forte non poteva vincere la morte e ne fu consapevole. La sua salute andò peggiorando e venerdì 27 ottobre di quello stesso 1475 fece testamento. La tradizione dice che fece entrare nella sua stanza i familiari, i collaboratori e il rappresentante della Repubblica di Venezia, al quale avrebbe detto: “Dite a Venezia che non conceda più a nessuno tanto potere e fiducia, come concesse a me per vent’anni.”
Egli infatti, oltre ad essere capitano generale, aveva anche una sorta di Stato proprio, dotato di ampie autonomie, all’interno della Repubblica veneta della quale i suoi domini facevano parte.
Negli ultimi giorni di ottobre e nei primi di novembre fu tutto un susseguirsi di notizie e di ipotesi sul suo stato di salute e varie volte si disse che fosse già spirato, mentre era ancora in vita. Il 28 ottobre un informatore anonimo degli Sforza, YV, scrisse al duca di Milano che aveva fatto testamento.
Il 30 ottobre il Colleoni perse conoscenza, ma si riprese. Il giorno seguente fece un codicillo, cioè un’aggiunta e modifica al testamento.
Alle 3 di notte del 3 novembre 1475 spirò nella sua camera da letto nella rocca di Malpaga. La notte seguente, su di un carro coperto da un drappo nero, trainato da due cavalli neri, fu portato a Bergamo e deposto in Santa Maria Maggiore. Qui la cassa rimase fino a quando venne terminato il suo sepolcro nel quale fu traslato con imponenti esequie nel gennaio 1476.
Ottemperando alle sue volontà, la Serenissima gli fece erigere il bellissimo monumento, opera di Andrea Verrocchio (il maestro di Leonardo da Vinci) e di Andrea Leopardi, che si può ammirare in Campo dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia. Questa statua, che rende bene l’idea del suo carattere e della sua fama, è ritenuta il miglior monumento equestre mai realizzato, ebbe grandissima fama e per questo fu più volte riprodotta in scala più ridotta.
Col tempo il luogo esatto della sua sepoltura venne dimenticato finché, dopo una diatriba su dove si trovasse durata decenni, il suo corpo venne rinvenuto nel sarcofago inferiore del suo monumento funebre nella cappella che porta il suo nome venerdì 21 novembre 1969.
Portava ancora gli abiti del 1475 e nella tomba vi erano la spada, gli speroni, il bastone di comando e una piastra con iscrizione.
Nel 1868 il Comune di Romano pensò di dedicargli un monumento nella piazza comunale, poi solo una lapide sotto i portici della Misericordia, ma anche questa non venne collocata. Con deliberazione consiliare 19 dicembre 1876 numero 5 il Consiglio comunale decise fra l’altro di denominare via Bartolomeo Colleoni la contrada della Misericordia.
Il Comune di Covo decise di dedicare al Colleoni vicolo Brede, cambiando il nome in via Colleoni con deliberazione consiliare 26 del 18 novembre 1961 sostituita con deliberazione 6 del 14 aprile 1962. A Covo il Colleoni è raffigurato nei due dipinti del Giordani del 1855, sul portale della chiesa, nel dipinto del 1993 ed è ricordato in due iscrizioni, una all’altare delle reliquie e una alla santella.
(tratto da: Gabriele Medolago e collaboratori, Bartolomeo Colleoni e Le Reliquie della Maddalena E di Lazzaro da Senigallia a Covo e Romano, pag. 50-51)
Il celebre condottiere Bartolomeo Colleoni, non avendo figli maschi, lasciò eredi, oltre che di buona parte del proprio patrimonio, anche del cognome e degli stemmi i nipoti Alessandro ed Estore, figli di sua figlia Ursina e di Gherardo Martinengo, i quali, per sua disposizione del 1472, assunsero il cognome Martinengo Colleoni per sé e discendenti.
La famiglia ebbe l’abitazione principale a Brescia, dove i Martinengo risiedevano da secoli, ma un ramo di essa possedette il castello di Cavernago per quattro secoli, sino al 1874, poco prima della sua estinzione (1885).
Da Estore nacque Gherardo (1491? – post 1539/ante 1547) da cui nacque Bartolomeo (1505?-1558). Gli ultimi due nel 1533 ottennero dalla Repubblica di Venezia il titolo di conti di Malpaga e Cavernago.
Da due figli di Bartolomeo e di Paola da Ponte ebbero origine i due principali rami dei Martinengo Colleoni: quello dei Martinengo Colleoni Langosco (poi anche Martinengo Colleoni Langosco Leni) discendenti dal condottiere Francesco (1548?-1621), che ebbero il castello di Cavernago e poi il titolo di marchese di Pianezza in Piemonte, e quello del fratello di questi Estore (1551?-1575?), che ebbe la rocca di Malpaga e per questo spesso si chiamò Martinengo Colleoni Malpaga.
Francesco Martinengo Colleoni fu condottiere e nel 1576 venne insignito del Collare dell’Annunziata; nel 1583 sposò Beatrice Langosco di Stroppiana (1556?-1612) marchesa di Pianezza, titolo che passò ai discendenti.
Dei figli dei due vanno ricordati Gaspare (o Gasparo) Antonio (1584?–1625), Caterina e Gherardo (1601-1643).
Il 10 maggio 1602 Caterina sposò il ferrarese marchese Enzio Bentivoglio.
Gaspare Antonio in San Giovanni a Brescia sposò il 30 aprile 1617 la marchesa Emilia Avogadro (1601-1670), figlia del defunto Roberto (che nel 1602 era stato creato marchese di Borgo San Martino in Piemonte) e di Giulia Gonzaga.
Il 24 gennaio 1621 il conte Francesco fece testamento lasciando eredi i figli marchese Gaspare Antonio e conte Gherardo.
Nel 1625 morì in Piemonte il marchese Gaspare Antonio e nel 1626 Emilia si risposò con il conte Bartolomeo Martinengo Colleoni Malpaga.
La famiglia continuò con Gherardo, divenuto marchese dopo la morte del fratello Gaspare Antonio.
Nel 1626 Giovanni Battista Leni, che era stato creato cardinale il 24 novembre 1608, fece l’accordo per il matrimonio di due sorelle sue nipoti: il 5 marzo di Semidea con Annibale Bentivoglio ed il 1° luglio di Licinia con Gherardo Martinengo Colleoni.
Il padre delle due sorelle era Camillo Leni, fratello del cardinale, la madre era Clelia Capranica, che il 3 novembre 1636 lasciò erede il nipote Francesco Amedeo (o Amadeo) Martinengo Colleoni (1628-1665) e spirò il 26 maggio 1637.
Camillo e Giovanni Battista Leni erano figli di Licinia Caffarelli. Questa era sorella di Francesco Caffarelli († 1615), marito di Ortensia Borghese, sorella di Camillo, poi papa Paolo V. Dai due nel 1576 nacque Scipione Caffarelli Borghese, che venne creato cardinale il 17 agosto 1605 e morì il 2 ottobre 1633. Suo zio Camillo Borghese, nato nel 1552, divenne cardinale il 21 giugno 1596, papa con il nome di Paolo V il 16 maggio 1605 e spirò il 28 gennaio 1621.
Annibale Bentivoglio era figlio del marchese Enzio figlio di Cornelio Bentivoglio e di Isabella Bendedei e fratello di Guido (1577-1644), creato cardinale il 17 maggio 1621, che spirò il 7 settembre 1644.
Il 12 febbraio 1620 il cardinal Leni fece testamento nominando erede universale la nipote Licinia ed i suoi discendenti e, mancando la discendenza, la chiesa di San Carlo ai Catinari in Roma. Il 26 ottobre 1627 lo consegnò al notaio. Il 3 novembre spirò. I Martinengo Colleoni spesso si qualificarono Martinengo Colleoni Langosco Leni, compresi alcuni che non erano discendenti dei Leni.
Licinia Leni spirò il 1° giugno 1628.
Gherardo (1601-1643) nel 1636 si risposò con Margherita Martinengo Cesaresco e poi, rimasto nuovamente vedovo, il 3 luglio 1640 con Flavia Bonelli principessa d’Altamura († 1691), pronipote di papa Pio V (Fra Michele Ghisleri), dalla quale ebbe Gaspare (o Gasparo) Giacinto (1641-1701).
Francesco Amedeo il 6 febbraio 1644 in casa Terzi a Bergamo, nel territorio della parrocchia di San Cassiano, sposò Chiara, figlia di Vincenzo e sorella di Luigi (1611?-1688) primo marchese Terzi, che, trasformando l’abitazione avita, fece realizzare il palazzo in Città alta. A quanto pare non ebbero figli.
Chiara spirò nel 1657. Francesco Amedeo venne bandito nel 1662, fece testamento il 6 aprile 1665 e lasciò erede il fratellastro Gaspare Giacinto ed i di lui figli maschi, spirò a Cassano d’Adda nello stesso 1665 e fu sepolto a Cavernago. Il 23 giugno Gaspare Giacinto ebbe l’investitura di Cavernago dalla Repubblica veneta.
Gaspare Giacinto l’8 giugno 1659 a Roncadelle sposò Chiara Camilla Porcellaga (1647?-1698), figlia del fu Pietro Aurelio, che spirò l’8 ottobre 1698; ultima della sua famiglia, Chiara portò l’eredità Porcellaga in Casa Martinengo Colleoni.
Dalle loro nozze nacque un altro Francesco Amedeo (1666-1693) il quale nel 1688 sposò Francesca Martinengo di Erbusco (1648-1695), ultima del suo ramo. Fu poi bandito e morì a Torino nel 1693 senza discendenza. Suo fratello Pietro Emanuele (1670-1746) sposò l’11 giugno 1695 la contessa Maria Lodovica Giulia Giuseppa Gambara (1678-1756) dalla quale ebbe vari figli, tutti morti bambini, e due figlie che divennero adulte: Marianna (1704-1758), moglie nel 1727 di Luigi Martinengo dalle Palle (1694-1764), e Licinia (1711-1763?), moglie nel 1731 di Guido Bentivoglio (1705-1769). Pietro Emanuele spirò a Cavernago il 7 febbraio 1746, seguito dalla vedova il 13 gennaio 1756.
Con Pietro Emanuele si estinse la linea maschile di questo ramo. Molti beni, fra cui Cavernago, passarono in virtù di un fedecommesso (cioè di una disposizione che vincolava alcuni beni alla discendenza maschile) all’altro ramo, quello dei Martinengo Colleoni Malpaga, nella persona di Venceslao (1714-1779) e poi ai suoi figli fra cui Giovanni Estore (1763-1832) e Giuseppe (1768-1848). Estore aderì alla rivoluzione francese e fece piantare il celebre albero della libertà (il piantone) a Cavernago. Fu senatore, cavaliere dell’Ordine della Corona ferrea, membro del Collegio elettorale dei possidenti, capitano comandante le Guardie d’onore della Compagnia di Brescia e ciambellano onorario. La gestione patrimoniale dei fratelli non fu molto buona e le fortune della famiglia iniziarono a declinare, anche per lo svincolo dei beni fideicommissari. Da Giuseppe il castello passò al nipote Venceslao (1810-1885), figlio di Estore, che non ebbe figli e con il quale la famiglia si estinse, proprio nel castello di Cavernago.
(tratto da: Gabriele Medolago e collaboratori: Gli stemmi ritrovati. Segni araldici a Cavernago, 2018)